Come promemoria per chi c'era, e per condividere la nostra vita sociale con chi non c'era (contando che sia dei nostri alla prossima...) presentiamo una sintesi dei principali appuntamenti della stagione 2010. L'articolo è apparso sul Notiziario A.DI.PA 2010.
Anche quest’anno, per la sezione Piemonte dell’A.DI.PA i mesi
primaverili e estivi sono stati scanditi da numerosi appuntamenti: visite a
giardini storici e moderni si sono alternate a presenze a fiere e a visite a
vivai. Senza soffermarci qui in una minuziosa cronaca, che non potrebbe che
annoiare, ci soffermeremo solo su alcuni appuntamenti più significativi.
Sceglieremo dunque tre momenti, uno per ciascuna delle stagioni del nostro anno
sociale (l’autunno ancora ci attende): l’inverno, la primavera e l’estate.
Primo e secondo mondo a cura di Silvia Fogliato
Ingresso della tenuta
Primo mondo Incominciamo dunque dall’inverno. Il primo appuntamento del 2010, in una giornata incerta tra l’inverno sul finire e la primavera sul nascere, ha riunito un numeroso gruppo di soci ed amici alla Tenuta Banna, nei pressi di Poirino (a una ventina di chilometri da Torino). La tenuta, che comprende diversi edifici di epoca medievale e settecentesca (un grande cascinale, un castello con cappella, una torre), sorge in paesaggio dall’aspetto bucolico, con quattro piccoli lagni, un’azienda agricola di 280 ettari, coltivata secondo tecniche tradizionali a mais, grano tenero e soia. Sede della prestigiosa Fondazione Spinola Banna per l’Arte, ospita incontri e conferenze, programmi di formazione postuniversitaria sull’arte contemporanea, workshop dedicati ai giovani artisti, concerti e manifestazioni culturali. A partire dal 1995, il giardino è stato totalmente ristrutturato su progetto dell’architetto Paolo Pejrone, che ha concepito un giardino moderno, articolato in cinque stanze, disposte a L attorno a un grande cortile rettangolare, su cui si affacciano il castello e la torre.
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il roseto
All’ingresso, ci colpisce una grande quercia secolare: pensate che ha avuto l’onore di essere citata in una lettera di Napoleone! Nel grande prato di fronte al castello sono stati piantati centinaia di narcisi, lasciati naturalizzare, che tra un mese si trasformeranno in una distesa bianca e profumata; ma per ora, alla fine dell’inverno, dobbiamo accontentarci del fascino più discreto di macchie di Galanthus (bucaneve) in varietà e Eranthis hiemalis (anemone invernale). Iniziamo quindi la visita al giardino a stanze: ancora spoglie dei fiori che in estate le trasformeranno in una festa di colori, ne sono però ora meglio visibili le strutture. Il gioiello di questa parte del giardino è senza dubbio il roseto: un grande parterre di “Queen Elizabeth”, “Iceberg”, “Paul Neyron”, racchiuse in quadrati bordati da siepi di bosso. Mentre la nostra immaginazione evoca i colori e i profumi che le rose dispiegheranno a maggio, ammiriamo la bellezza della struttura, che coniuga le linee rigide delle siepi squadrate alla rotondità delle sfere di bosso.
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pergola di gelso
Oltre il roseto, la seconda stanza si struttura attorno a una fontana di pietra attorniata da meli da fiore (Malus “Red Sentinel”); qui in estate fioriranno le begonie. Visitate velocemente le altre stanze, ancora immerse nel letargo invernale, ci soffermiamo per un istante sulla soglia del giardino segreto, ispirato ai potagers medievali e dominato da una grande pergola con una collezione di glicini. Al di fuori della tenuta, i laghetti, attorniati da cespugli da fiore, ancora spogli, tra cui spiccano i fusti rossi dei Cornus. La visita ci riserva ancora una sorpresa: una strabigliante pergola ottenuta intrecciando i rami di gelso (Morus alba pendula), una pianta tipica della zona, qui reinterpretata in modo innovativo e fantasioso.
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Secondo mondo Da un inverno ricco di promesse all’esplosione della
primavera al suo termine. Finalmente è arrivato maggio, e con maggio la
fioritura delle rose. Il 5 giugno abbiamo avuto l’opportunità di visitare un
giardino privato: il Roseto storico botanico della Sorpresa, creato dalla
passione di Piero Amerio, professore emerito dell’Università di Torino. Il
giardino sorge accanto a una vecchia casa di campagna a Castell’Alfero, in
provincia di Asti. Con un’estensione di circa 14.000 m², è costruito su una
serie di terrazzi sul fianco di una collina, che degradano verso il fondo
valle; oltre al roseto, comprende boschetti di specie arboree locali (carpini,
roveri, tigli, bagolari, noci, faggi), lasciati crescere in modo quasi
selvaggio per offrire l’habitat più idoneo a uccelli e piccoli animali. Nel Roseto della Sorpresa il prof. Armerio, nell’arco ormai
di un trentennio, ha raccolto una vasta
collezione di rose botaniche e antiche, una delle più complete esistenti
in Italia: quasi 100 specie di rosa (sulle circa 150 annoverate dal genere) e
centinaia di varietà antiche. La visita inizia con una informale – ma assai
dotta – chiacchierata del prof. Armerio che ci fa ripercorrere la storia della
rosa: dai quattro ceppi delle rose europee (Rosa
gallica, alba, centifolia, damascena), alle prime rose nate dall’ibridazione con la Rosa chinensis: portland, bourboniane,
noisettes, ibridi perpetui…
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Rosa gallica versicolor
Le puntuali informazioni del professore, arricchite da aneddoti e curiosità, accompagneranno il nostro viaggio alla scoperta della rosa: accanto all’ingresso, la prima sosta spetta a Rosa chinensis dai fiori purpurei. Poi scendiamo lungo le terrazze a mezz’ombra alla scoperta delle rose europee. Particolarmente importante e ben rappresentato nel roseto è il gruppo della Rosa gallica, che comprende un centinaio di cultivar, alcune delle quali rarissime; tra le tante ricordiamo almeno Rosa gallica versicolor, la “Rosa mundi” del Medioevo, Rosa gallica complicata, “Charles de Milles”. Cospicua è anche la collezione di alba, centifolia e damascena, presenti nel roseto con la quasi totalità delle specie, sottospecie e cultivar giunte fino a noi. Incontriamo anche la misteriosa rosa Portland e tanti meravigliosi ibridi creati all’inizio dell’Ottocento, che non possono non evocare l’infelice Joséphine de Beauharnais, il giardino della Malmaison, il grande pittore Redouté: “Belle de Crécy”, “Isphaan”, “La plus belle des ponctuées”, “Jacques Cartier”, “Jenny Duval”… La parte più bassa di questa serie di terrazze ospita altre rose botaniche e rampicanti, tra cui spicca Rosa brunonii, in un tripudio di profumatissimi fiori bianchi.
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Paul's Himalayan Musk
Prosegue la nostra visita e prosegue la storia della rosa: con l’arrivo delle cinesi, la rosa acquista la rifiorenza (benché, secondo i puristi, stia per perdere profumo e fascino). Nel giardino troviamo la Rosa mutabilis, le “cinesi” create da Guillot “Madame Laurette Massimy” e “Comtesse du Cayla”; le meravigliose bourboniane “Souvenir de la Malmaison”, “Louise Odier”, “Madame Isaac Perire”, Commandant”; la noisettiana “Blush Noisett”; gli ibridi perpetui “Paul Neyron”, “Baronne Prevost”, “Baron Girod de l’Ain”…. Come si è detto all’inizio, il giardino offre una collezione molto ampia di specie botaniche; molte fioriscono presto nella stagione, quindi non ne abbiamo potuto godere la fioritura; tra quelle in fiore a fine maggio ricordiamo almeno la prorompente Rosa multiflora adenocasta, l’incantevole Rosa eglanteria, la spettacolare Rosa californica, la gigantesca Paul’s Himalayan Musk. La passeggiata nella storia della rosa si conclude sulla terrazza superiore e più soleggiata, che ospita un centinaio di rose “moderne”, in realtà soprattutto vecchie cultivar oggi spesso di difficile reperibilità. Tutte interessanti, molte belle e d’impatto, ma forse meno fascinose delle rose antiche che costituiscono il vero cuore di questo prezioso Roseto.
Terzo mondo a cura di Massimo Bruatto
In quanto
montanaro del gruppo anche quest’anno mi è toccato il (l’in)grato compito:
portare i soci A.Di.P.A. piemontesi a spasso in montagna. Dopo due anni di orti
botanici alpini (Saussurea e Lautaret), quindi di natura coltivata e addomesticata,
si è pensato a qualcosa di diverso,
organizzando un’escursione semplice e comoda ma ricca di stimoli botanici e
naturalistici, alla scoperta delle specie spontanee ed endemiche alpine. Il
luogo prescelto è uno splendido altipiano a circa 2000 m s.l.m. che congiunge
le valli Maira, Grana e Stura, in provincia di Cuneo, là dove iniziano le Alpi
Marittime. La scelta non è casuale: l’intero percorso può essere effettuato in
automobile, seppure vi sia un lungo tratto sterrato e la strada sia molto
stretta e spesso vertiginosamente affiancata da baratri, ma, soprattutto,
dovunque ci si fermi è possibile fare incontri interessanti. Le Alpi Marittime, per la loro storia e conformazione geologica sono un serbatoio di endemismi che non ha pari in tutto il restante arco alpino e lungo l’itinerario prescelto è possibile osservarne molti senza doversi sobbarcare faticose e pericolose camminate (dobbiamo pensare all’esistenza di un orto botanico naturale?). Si parte da Ponte Marmora, in valle Maira, a circa. 1000 m s.l.m., tra fitti boschi di castagni, faggi, frassini ed altre latifoglie caduche. Man mano che si sale la strada si fa più stretta e ripida, la vegetazione cambia e si dirada, alle latifoglie si sostituisce il larice ed i prati spariscono, comparendo invece delle immense colate di detriti derivanti dall’erosione delle ardite guglie sovrastanti.
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Qui facciamo il primo incontro: Centranthus angustifolius, le cui colonie rosa confetto spiccano vivacemente sul grigio delle pietraie. Al Colle del Preit il paesaggio cambia bruscamente, si esce dalla zona più aspra, ripida, scavata dall’acqua, per entrare nel vasto altopiano di origine glaciale, vastissimo, morbido, coperto di pascoli e dominato da una audacissima lama calcarea, la Rocca della Meja. Lasciamo le auto nei pressi del Colle della Gardetta e ci avventuriamo nei prati, cercando piante mentre saliamo al colle. Le sorprese non tardano. Alcune zone umide si rivelano, per la gioia di Rita e Daniele, zeppe di pinguicole, ben nascoste tra le foglie di Eriophorum angustifolius; vicino alle ultime chiazze di neve troviamo le soldanelle, con gran soddisfazione di Giovanni (beh, in verità una sola, sob!) ma anche Androsace sp., Saxifraga oppositifolia, Viola calcarata in numerosissime forme dei più vari colori, Parnassia palustris e chi più ne ha più ne metta. Sul colle (2437 m s.l.m.) la vegetazione è estremamente rada, composta principalmente di arbusti appressati al suolo (Dryas octopetala, Salix serpyllifolia, S. reticulata) dei veri bonsai naturali potati e scolpiti dal vento e dalla neve; qui lo sguardo spazia a 360° su tutta la testata della Valle Maira e sulle vicine Alpi Marittime permettendoci di apprezzare appieno l’aspra verticalità di questi monti che han meritato loro il titolo di Dolomiti del Piemonte.
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Berardia subacaulis
Riprendiamo le automobili e ripartiamo, alla ricerca di un ameno praticello dove fermarsi per il rituale pic-nic (si sa, l’aria di montagna mette fame!) fermandoci di lì a poco al piede del Bric Bernoir (2424 m s.l.m.), sperone roccioso che si eleva dall’altopiano con un ripido versante esposto a S completamente ricoperto di sfasciumi, habitat ideale per svariati, splendidi endemismi. E così, dopo il pranzo e la rituale pennichella (in piemontese “sognet”) ci inerpichiamo su questo ripidissimo e franoso pendio per cercare le specie che sono il vero scopo della gita. La fortuna ci viene incontro e dopo pochissimi passi troviamo ciò che cercavamo: Berardia subacaulis, Campanula alpestris, Allium narcissiflorum, tutte in grandissima forma ed in piena fioritura. È soprattutto la prima di queste tre specie la vera rarità botanica essendo il gen. Berardia un genere monospecifico endemico delle Alpi Cozie e Marittime, maggiormente diffuso sul versante francese. È uno dei tre generi assolutamente endemici delle Alpi, di origine assai discussa e controversa, che rappresenta la testimonianza di una lunghissima evoluzione avvenuta in condizioni di completo isolamento. Ciò ha fatto sì che questa pianta sia praticamente un riassunto di tutti gli adattamenti necessari a campare in questi luoghi: portamento compatto con foglie riunite in una rosetta basale, apice vegetativo ben nascosto e protetto dalle foglie vecchie e dalle pietre (da qui l'epiteto specifico subacaulis), foglie ricoperte da una fitta lanugine biancastra (tomento), radice lungamente fittonante per ancorarsi e per andare a ricercare la poca acqua disponibile... Grazie a questa serie di piccoli trucchi la B. subacaulis riesce a colonizzare ripidi pendi di sfasciumi calcarei mobili esposti a Sud, tra 2000, 2500 m s.l.m. ed oltre: mica facile vivere in siffatti posti! Sono oramai molti anni che conosco questi luoghi ed ogni tanto passo a visitarli accompagnando amici curiosi ed interessati a questa flora; con grande soddisfazione quest’anno ho notato che le popolazioni di queste particolarissime specie sono in forte espansione, complice forse il lento stabilizzarsi del versante o forse la diminuzione del pascolo ovo-caprino: certamente una buona notizia in un mondo che quotidianamente descrive catastrofi ambientali ed elenca specie in pericolo.
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Delphinium sp.
Discesi da questo ripido pendio ci avventuriamo su un percorso più comodo, ancora nei prati, alla ricerca di quelli che devo ormai considerare come vecchi amici: un paio di cespi di Delphinium sp. (D. dubium op. D. elatum?) che hanno trovato in un impluvio quell’insieme di umidità e fertilità del suolo assolutamente necessario per il loro benessere. La memoria non mi fa difetto ed infatti eccoli là, pochi metri al disotto della strada, in piena fioritura con le loro splendide spighe blu scurissimo, fortunatamente in ottima salute ed accompagnati da alcuni esemplari più giovani, segno che anche questa colonia si sta assestando ed ampliando.
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Papaver rhaeticum
Oramai la
giornata va volgendo al termine e così riprendiamo le automobili con
l’intenzione di proseguire senza soste fino a Castelmagno, l’abitato sito alla
testata della valle Grana punto d’arrivo della nostra gita e poi di seguito
giù, lungo la stessa valle verso la pianura. Ma lungo il percorso l’acuta vista di Bob ci obbliga
ancora ad una fermata botanica: Papaver rhaeticum, un delicatissimo
papavero giallo, endemico delle Alpi Marittime e di quelle Retiche, audace
colonizzatore dei macereti calcarei, il cui areale così ampiamente disgiunto testimonia la lunga e complessa storia di
questi monti. E, ciliegina sulla torta, poco più in là, Ranunculus glacialis,
sicuramente la più alpina tra le alpine, essendo la specie europea adattata
alle massime altezze, con ritrovamenti fino ad oltre 4200 m s.l.m.!!!!!!
Certamente andrebbe adottato come simbolo dell’alpinismo al posto della molto
più nota ed inflazionata stella alpina, Leontopodium alpinum, che più
modestamente preferisce vivere nei pascoli aridi spingendosi raramente fino ai
3000 m s.l.m.